Afghanistan, l’ennesima strage di giornalisti

 

Fotografo Afp Kabul ucciso

di Marco Lupis

Un vero  e proprio “attacco alla stampa”. Così è stato rivendicato dai fanatici assassini dell’ISIS la strage di ieri a Kabul dove, oltre alle vittime civili, vengono ancora una volta messi nel mirino i reporter e i fotografi, gli operatori dell’informazione “colpevoli” di avere soltanto fatto il loro lavoro. Il nostro lavoro.

Due attentati kamikaze, a distanza di 30 minuti l’uno dall’altro. Le vittime sarebbero almeno 29 – tra cui 8 giornalisti – ed oltre 49 i feriti. Dopo la prima esplosione avvenuta nel quartiere di Shashdarak, vicino al Dipartimento nazionale di sicurezza, sarebbero passati circa 30 minuti prima che un secondo kamikaze si facesse esplodere in mezzo ai giornalisti, accorsi per documentare l’accaduto. Oltre a Shah Marai, fotografo all’Agenzia France Press Afp, hanno perso la vita anche due colleghi afghani, un cameraman di Tolo Tv e, secondo il ministero della Sanità del Paese anche altri dipendenti di 1TvNews, Jahan Tv e Azadi Radio.

Shah Marai era un bravo fotografo. Probabilmente un grande fotografo. Gli piaceva parlare, e raccontare nelle sue fotografie, di  un Afghanistan che aveva vissuto anni di speranza, dopo “il buio del governo dei talebani”, di un Paese in cui quindici anni più tardi quella stessa speranza era svanita, per lasciare spazio a una vita dura come mai prima.

Marai aveva iniziato a lavorare con la Afp nel 1998, quando ancora il Paese era sotto il giogo islamista. “Facevo foto con una piccola telecamera nascosta sotto una sciarpa legata al collo – raccontava – La dittatura talebana rendeva estremamente difficile lavorare, impediva di fotografare qualsiasi cosa, dagli uomini agli animali”. In quel clima il suo inestimabile lavoro non portava mai il suo nome, ma piuttosto un’indicazione generica: “stringer”, il nome con cui in inglese si definiscono i colleghi che collaborano a pezzo con giornali e agenzie di stampa.

“All’epoca l’Afp non aveva un vero e proprio ufficio di corrispondenza a Kabul”, raccontava ancora Marai, spiegando di come una casa nella zona di Wazir Akbar Khan facesse da base per gli inviati che regolarmente raggiungevano il Paese e con i quali si raggiungeva poi la linea di fuoco dove l’Alleanza del Nord teneva testa ai taliban. Fino al 2000, quando anche le ultime agenzie straniere vennero cacciate dall’Afghanistan e solo Marai rimase a coprire la storia a Kabul.

Oggi non potrà più farlo.

 

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