Al via l’Era del Kim-Trumpismo in Asia?

di Marco Lupis

Cosa dobbiamo aspettarci dall’imminente vertice tra Donald Trump e Kim Jong-un?   L’inizio di un vero processo di denuclearizzazione da parte del regime di Pyongyang? La risposta è senz’altro sì. La progressiva distensione nei rapporti tra l’ultimo regime stalinista della Terra e il resto del Mondo? La risposta in questo caso è probabilmente sì. L’inizio della democratizzazione e del rispetto – anche minimo – dei più elementari diritti umani in Corea del Nord? No, probabilmente no. Almeno non a breve termine. L’inizio del processo di riunificazione delle due coree? Forse, ma i tempi saranno lunghi, se non lunghissimi. Ma è a un’altra domanda che arriva, almeno a parere di chi scrive (ma non solo), una risposta affermativa largamente inaspettata: il vertice di Singapore darà inizio a un nuovo assetto degli equilibri geopolitici, dei rapporti di forza e delle aree di influenza nell’Area Asiatica? Ebbene, direi proprio di sì.

Appare certo che Donald Trump si porterà a casa un primo, significativo, ma tutto sommato ovvio risultato da Singapore: Kim accetterà di smantellare completamente il suo programma e il suo arsenale atomico. Del resto ha già, e per davvero stavolta, cominciato a farlo. E comunque ormai non gli serve più. Il potere deterrente, intimidatorio e terrorizzante della minaccia atomica nordcoreana ha sortito l’effetto ricercato dal dittatore Kim: sedersi al tavolo con entrambe le superpotenze mondiali del momento: prima la Cina adesso gli Stati Uniti. E farsi accettare dalla comunità internazionale come un interlocutore presentabile, e non come un folle dittatore allo sbando. E scusate se è poco.

kimtrumpismo

Gli altri punti sopra elencati appaiono invece di molto più difficile realizzazione, da parte del presidente americano: l’anima spietatamente dittatoriale del regime nordcoreano è talmente profondamente innestata nel suo corpo dirigente, nella storia recente della Corea del Nord e soprattutto nel DNA della dittatura familistica dei tre Kim, da non potersi, realisticamente, modificare in tempi brevi, pena il collasso del regime e la caduta della “monarchia” kimista. Ancor più peregrina l’ipotesi di una veloce riunificazione delle due coree, separate da quasi 70 anni di divisioni politiche, culturali e soprattutto economiche. Basti un dato: La Corea del Sud è la nazione più connessa al Mondo, quasi la totalità dei suoi abitanti utilizzano Internet. Nel Nord il Web non esiste, non è accessibile (se non da parte del dittatore Kim e del suo stretto entourage e pochi altissimi burocrati e uffici governativi). Esiste una rete intranet, totalmente chiusa e impermeabile rispetto all’esterno e solo da pochi anni è nata una rete di telefonia cellulare. Solo per chiamate interne però, quelle internazionali sono bloccate e inibite per default dal regime.

Ma il vertice di Singapore, nei programmi dell’amministrazione Trump, sarà l’inizio di qualcosa di molto più importante (per l’America) che non la distruzione di qualche missile con testata atomica. Consentirà a Trump di provare a capovolgere gli equilibri geopolitici dell’area nord-est asiatica, provando a sottrarre la Corea del Nord all’influenza, ormai storica, della Cina per cercare di portarla nell’orbita di influenza americana in Asia, al fianco di Seoul e Tokyo, suoi solidi e storici alleati. Non a caso, pochi osservatori lo hanno rilevato, Pechino si è affrettata a tendere la mano a Kim Jong-un, organizzando in fretta e furia ben due visite di Stato, la prima volta in assoluto in cui Kim ha lasciato il suo Paese.

Il vero braccio di ferro infatti, al vertice di Singapore, non è tra Kim e Trump, ma tra Trump e il presidente cinese Xi, impegnatissimi entrambi, negli ultimi tempi, a “tirare per la giacchetta” il dittatore grasso. Che furbescamente ha già in mente di farsi rifare a loro spese l’intero guardaroba.

Marco Lupis

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