Diario di un mese di guerra

PRIMAVERA UCRAINA
La vita sboccia prepotente come i ciliegi in fiore.
La gente di Kyiv rivuole il suo futuro
Di Marco Lupis – da #Kyiv
Sono arrivato a Kyiv una mattina di guerra.
Nel treno notturno da #Odessa che mi portava verso la capitale ucraina, ormai un mese fa, ho attraversato un Paese sconvolto da un conflitto senza senso e senza precedenti. Alle prime luci di un’alba livida, il procedere lento, estenuante, del convoglio, si era interrotto bruscamente in una piccola stazione di campagna. In lontananza udivo boati che ho sperato fossero tuoni. Ma le lugubri sirene dell’allarme aereo mi hanno tolto ogni illusione.
Alla stazione di Kyiv, accanto alla Chiesa dedicata a San Giorgio il Vittorioso, di nuovo accolto dagli allarmi, mi ero mescolato alla lunga fila di compagni di viaggio che fuggivano dai bombardamenti russi al Sud, giovani o anziani, intere famiglie. Nel nostro vagone, tutti immersi nel buio totale nella speranza di non diventare un facile bersaglio dei missili russi, c’era anche Tamara, un’anziana signora di #nikolaev , la città tuttora martoriata dai bombardamenti non distante da Odessa. Tamara, 75 anni, mi aveva raccontato di essere rimasta nascosta per 41 giorni in un rifugio, insieme al suo gatto rosso, che ci aveva mostrato felice e orgogliosa – malgrado tutto – nella gabbietta accanto a lei. “Anche lui è un rifugiato, come me”, mi aveva detto, sorridendo. 41 giorni trascorsi dormendo per terra e dovendo fare i propri bisogni – a 75 anni – in un secchio. Quando finalmente era riuscita a partire, qualcuno l’aveva accompagnata alla stazione di Odessa, per raggiungere la figlia, che vive a Kyiv.
Ho pensato molte volte a lei in questo mese vissuto tra gli orrori delle città devastate dell’#Oblast di Kyiv, #bucha #borodyanka , #Irpin, #Makariv, #chernihiv …Nomi che resteranno per sempre scolpiti nella memoria e nel martirologio di questo popolo. Nomi che la Storia e gli storici assoceranno per sempre ai crimini contro l’Umanità del tiranno Vladimir #Putin. Come starà oggi la piccola Tamara, esile ma indomita, per nulla piegata da ciò che è stata costretta a vivere alla sua età…? Starà vivendo almeno un briciolo di serenità accanto alla figlia ritrovata? Di certo nessuna serenità avranno potuto trovare i parenti dei morti, tirati fuori davanti ai miei occhi dalla grande fossa comune accanto alla Chiesa di Sant’Andrea a Bucha. Torturati, bruciati, le mani legate… Oppure quelli che ho visto fermi, immobili in un dolore muto, senza nemmeno più lacrime, di fronte alla teoria quasi infinita delle nuove fosse scavate in fretta e furia nel cimitero di Irpin. Potranno mai trovare pace?
Da qualche giorno i parchi di questa meravigliosa città sono pieni della colorata esplosione degli alberi in fiore. Sbocciano prepotenti i fiori di ciliegio a Kyiv. Sfidano la guerra, il buio, gli orrori, la morte. La natura non conosce la follia degli uomini, ignora con un’alzata di spalle le miserie della Storia e il delirio del dittatore che a #Mosca se ne sta rinchiuso al #Cremlino, circondato da una manciata di “fedelissimi” che in realtà lo temono. Vecchi Generali, residuati sovietici, anagraficamente ma anche ideologicamente vecchi, decrepiti, superati dalla Storia che presto o tardi – grazie a questo popolo ucraino che non si arrenderà mai alla tirannia – li seppellirà e, si spera, li porterà davanti al giudizio degli uomini, perché quello di Dio li ha già condannati da tempo.
Nel parco sul colle di San Vladimiro, la fontana monumentale con la statua dell’Arcangelo guerriero, San Michele, con la spada d’oro sguainata che brilla al sole di questa primavera ucraina, sembra simboleggiare la resistenza e l’indole dura e gentile allo stesso tempo, di questa gente. “San Michele sconfisse il Diavolo, e così divenne protettore di Kiev”, dicono qui. E tutti credono che l’intercessione del Santo guerriero possa adesso sconfiggere l’incarnazione contemporanea del demonio, che oggi si chiama Vladimir Putin e il suo esercito di militari assassini, torturatori, stupratori.
In cima al colle, posto sulla destra del grande fiume #Dnipro che attraversa la città, il Monastero di San Michele domina il quartiere storico dei mercanti, chiamato #Podil. E’ noto come “Monastero dorato di San Michele”, perché l’oro delle sue cupole abbaglia e stupisce forse ancor più di quelle di Santa Sofia. A primavera, il centro della capitale dell’Ucraina è una meraviglia di storia, architettura e spiritualità, e Santa Sofia – dichiarata patrimonio dell’umanità dall’Unesco – rappresenta l’apice e il simbolo di tutte e tre le cose. Gli abitanti di Kiev credono da sempre che la città continuerà ad esistere fino a quando quest’opera d’arte sarà preservata. Dentro, sotto le cupole verde intenso e l’enorme mosaico della Vergine orante, i fedeli pregano silenziosi. Per la pace, certo. Ma soprattutto perché il Signore li aiuti a cacciare l’invasore.
La domenica di Pasqua, la Pasqua ortodossa, il pope della Chiesa Cwttedrale di San Vladimiro mi ha detto: “Dio è con gli ucraini. E lo sa perché Dio è con noi? Perché noi non abbiamo fatto nulla di male. Non abbiamo invaso nessuno”
A San Michele, il pope mi dice in un sussurro che no, loro non hanno mai chiuso durante la guerra, così come tutte le altre Chiese della città, nemmeno quando i russi hanno cercato di prenderla questa città, senza successo, perché sono stati respinti alla periferia, dopo furiosi combattimenti, dall’esercito ucraino. Mi dice che c’è bisogno più che mai della preghiera, e che le chiese sono diventate rifugio non solo spirituale, ma anche reale nei momenti più duri di questa guerra. Anche padre Vadim, parroco della Cattedrale cattolica di Sant’Alessandro, a due passi dall’iconica Piazza #Maidan, teatro della “rivoluzione” del 2014, mi dice che la sua chiesa è stata rifugio dai bombardamenti per la popolazione terrorizzata: “anche qui in sacrestia, vede, dove siamo adesso, c’erano decine di persone che dormivano, non c’era un centimetro libero tra i materassi stesi sul pavimento. Ancora adesso abbiamo persone che vivono qui con noi”. Padre Vadim aggiunge che lì vivono ancora quelli che hanno perso tutto, non hanno più una casa o un vestito. Vengono dai centri più devastati della regione, Bucha e Borodianka, soprattutto, ma anche da più lontano, da Chernihiv per esempio, “dove” mi dice “si sono verificate atrocità che non riesco nemmeno a raccontare”.
Li ho visti, li ho dovuti vedere per poterli testimoniare questi orrori, vorrei dire a Padre Vadim. Ma me ne sto in silenzio, mentre lui mormora una preghiera e mi benedice, aggiungendo “Dio è con te”… Vorrei dirgli, “aiutami padre Vadim”, fai sì, per favore, che le immagini di ciò che ho visto non vengano così spesso di notte a visitarmi”. Come quella delle due croci di legno piantate nel giardino condominiale di un palazzo ad Irpin, dove una mano pietosa, sfidando i missili russi, aveva dato una prima sepoltura a Marina e Ivan. Madre e figlio. Ivan aveva solo 13 anni. O quelle dell’auto crivellata di proiettili, con il muso schiacciato dai cingoli di un carro armato russo sul ponte che porta a Kyiv, con dentro i fogli bianchi strappati da un quaderno, su cui si intravedevano ancora le tracce dei disegni colorati di un bambino… Dio, fai che questa splendente primavera ucraina cancelli di colpo tutto quest’orrore.
E l’aria dolce di questa giornata di primavera, che si insinua tra gli austeri palazzi di Piazza Maidan – Piazza indipendenza, (un nome che adesso più che mai è diventato per gli ucraini il grido sotto cui raccogliersi, “Indipendenza!”) riesce davvero per un momento a farmi dimenticare l’incredibile carico di dolore e di tristezza di questa guerra. La città ha ricominciato a vivere da qualche giorno, anche se si tratta sempre di una vita sospesa, rinchiusa entro limiti angusti, quelli di una capitale di una nazione comunque sempre in guerra, stretta tra i sacchetti di sabbia e i cavalli di frisia ai Check point. Una vita ogni notte interrotta dal coprifuoco militare che, alle 10 di sera, la trasforma di nuovo in un deserto di vie silenziose.
Ora i negozi riaprono, i giovani durante queste magnifiche giornate di sole affollano i negozi, siedono ai tavolini dei bar all’aperto. Vivono di nuovo.
La ragazza che mi serve il cappuccino al Caffè Pristina, in Triokhsviatytelska street, sorride. Ha voglia di parlare, e in un inglese straordinariamente chiaro mi racconta che anche lei ha avuto parenti e amici uccisi durante l’invasione, quando l’esercito russo ha cercato di prendere la città ma si è dovuto ritirare, dopo essersi scontrato contro la feroce resistenza di quello ucraino. Non prima, però, di aver distrutto e devastato i principali centri attorno a Kyiv. Al di là della strada c’è la statua di Dante Alighieri – donata nel 2015 alla capitale ucraina dalla città gemellata di #Carrara – impacchettata, come tutti i monumenti qui.
Kyiv, infatti, oggi è una città impacchettata, ogni monumento, ogni statua, sono stati protetti per subire i minori danni possibili in caso di bombardamenti, almeno quelli indiretti come schegge o spostamenti d’aria. Sergei Anjiac, Sovrintendente ai Monumenti e ai Beni culturali, mi ha spiegato che hanno capito subito che i russi non volevano solo sterminare la popolazione civile: “Il primo è stato il Museo di #Ivankiv nella regione di Kyiv che è stato completamente distrutto dai bombardamenti russi… e tutti sappiamo la fine che ha fatto il Museo #Kuindzhi a #Mariupol e il Museo del Castello #Popov a #Zaporizhzhia … a quel punto ci siamo resi conto che dovevamo proteggere nel modo migliore possibile il nostro patrimonio monumentale: tutte le collezioni d’arte sono state imballate e trasferite in luoghi sicuri. Insomma” conclude, “ci siamo resi presto conto che il nemico, i russi, avevano intenzione di distruggere tutto ciò che rappresenta la storia, l’arte e l’identità della cultura ucraina”.
“Butteremo a terra la Russia come ha fatto il sindaco #Klitschko con il monumento alla fratellanza tra Russia e Ucraina. Così deve essere” mi dice la ragazza del Caffè Pristina. “Non potrà mai più esserci fratellanza con chi ha ucciso e torturato la nostra gente”, aggiunge seria. Poi le si illumina il volto in una grande sorriso e dice “ma ora è primavera, e noi vogliamo ricominciare a vivere. E lo faremo”
Si può avere nostalgia di una città come questa, una città in guerra, prima ancora di averla lasciata?
La vita torna a sbocciare prepotente come i ciliegi in fiore a Kyiv; sfida la morte, sfida Il Male Inutile della guerra.
La gente di Kyiv rivuole il suo futuro.
Kyiv, 2 Maggio 2022. 68° giorno di guerra.
